Quest’anno ricorre il centenario della nascita di #italocalvino (L’Avana,1923). È stato (giustamente) ricordato in tanti modi, io vorrei ricordarlo anche per la sua vicinanza alla causa e alle sofferenze del popolo p4lest1n3se P.s. scusate per la lettura, non è cosa per me 🙃 ma mi sembrava il modo più efficace per diffondere questo scritto
È sempre più evidente il doppio standard applicato nel racconto delle vittime isr43l1an3 e p4l3st1n3s1: delle prime sappiamo tutto – i gusti musicali, la scuola che frequentano e gli sport che praticano, abbiamo le loro foto sorridenti sulle prime pagine dei giornali – le seconde sono rappresentate solo come un ammasso di corpi informi, senza nome e senza storia. L’unica rappresentazione loro concessa è quella della mostrificazione: bestie senza scrupoli e senza ideali alle quali non è possibile accordare alcuna pietà o, tantomeno, solidarietà.
Il “decreto anti-rave” non parla (solo) di feste 🎛🎚🎵 (perché allora conviene chiamarlo così?)
Il “decreto anti-rave” non parla (solo) di feste 🎛🎚🎵 (perché allora conviene chiamarlo così?)
Il “decreto anti-rave” non parla (solo) di feste 🎛🎚🎵 (perché allora conviene chiamarlo così?)
Siamo pieni di rabbia per la censura qui sui social (shadowban, limitazioni) sui contenuti che riguardano la Pal3stina. È comprensibile: si tratta pur sempre di aziende private, con le loro regole. La censura di Governi che si dicono democratici e che impediscono di manifestare, di esporre bandiere, di esprimere un pensiero critico è invece, semplicemente, inaccettabile.
Da domani a Napoli piove per sette giorni di fila 🌩🌨 e da dopodomani, con tutta probabilità, avremo i neofascisti al Governo. Insomma, c’è poco da stare allegri. Eppure qualcosa di buono questa campagna elettorale ce l’ha regalata: abbiamo avuto tanto sostegno: da Pablo Iglesias di Podemos e Jean-Luc Mélenchon de La France Insoumise, persone stanno facendo la storia della sinistra. Artisti, intellettuali. È un grande orgoglio, soprattutto perché siamo piccoli, perché sostenere noi è una scelta di cuore. Ma è anche una scelta di testa: di fronte all’esaurimento (sic!) della sinistra nel nostro Paese, alle oggettive difficoltà delle organizzazioni, delle lotte e dei movimenti, è importante che resti un fronte, piccolo ma tosto, a ricordare che l’ingiustizia, la rassegnazione, non sono “naturali”, né inevitabili. Un argine al “realismo capitalista” imperante. Come dicevo sono molto orgogliosa di questi endorsement, come lo sono di quelli di persone come @elisacuter , Michela Grasso (@spaghettipolitics ), @alessandro_sahebi , @carlottavagnoli che potevano farsi i fatti loro e invece hanno scelto di sostenerci (❤🥲) e uscire dal rituale dell’attivismo on line che troppo spesso segue le regole del marketing per cui si supporta solo l’ovvio, ciò che non è divisivo e che, almeno nella propria bolla, è già vincente. Poi ci sono gli endorsement più belli di tutti: quelli invisibili di chi ha raccolto le firme per poterci presentare nella settimana di Ferragosto, degli attivisti giovanissimi ( che ieri sono in scesi in piazza per ricordarci che l’emergenza climatica e quella sociale sono una cosa sola, che hanno contestato (prendendosi botte e – speriamo di no – denunce) quelli che si sentono incontestabili, quelli che hanno messo mano al portafogli per tornare a casa dalla città dove studiano o lavorano, anche solo per poche ore, per segnare una X sulla scheda. Domani non facciamoci spaventare dalla pioggia, non facciamoci spaventare dalla difficoltà (enorme) del momento e del nostro compito. Ricordiamoci che non siamo soli e che da dopodomani inizia il “bello” e noi, questa è una certezza, ci saremo.
Posso dire che sta storia che è tutta colpa “dei boomer che ci hanno tolto il futuro se è salita la destra” che leggo praticamente dappertutto sui social è cretina almeno quanto quella “dei giovani d’oggi che, signora mia, non hanno più valori”? Potrei cavalcare anche io questa narrazione consolatoria (consolatoria perché i nuovi sarebbero, naturalmente, più avvertiti, migliori dei vecchi). Potrei dire che la mia (i quarantenni) è una generazione di ignavi e che le precedenti hanno sfruttato risorse, “abusato” di diritti* che le giovani generazioni si possono soltanto sognare. Ma sarebbe cadere in una trappola. La verità è che il disagio mentale (trascurato e negato), le condizioni di lavoro precarie e misere, gli affitti e le bollette alle stelle non sono questioni che riguardano solo i 20-30enni, anzi. Non cerchiamo soluzioni (e nemici) semplici di fronte a situazioni complicate, che qua la situazione è già seria di suo. E solo un patto intergenerazionale (e di classe) ci salverà. p.s. e co sta storia dell’italiano medio siete pure un po’ snob, fatevelo dire *i diritti non sono ma “troppi”: se un’altra categoria, nazionalità o generazione di lavorator ne ha più di noi questo non ci indebolisce, ma ci rafforza (e dunque dovremmo lottare perché non li perda)
Le nostre Veneri influencer 🌊🌸❤
Le persone che hanno contribuito al movimento NO WAR hanno sempre subito accuse infamanti (sostenere dittatori e criminali). Oggi chi difende la causa palestinese viene accusato di essere sostenitore di H4mas (!?!). È una cazzata. Ciao. Palestina libera. (Ripostato 🙄)
Mostrificazione del nemico pt. 2: i bambini NON sono tutti uguali! Ah ma quante belle cose stiamo imparando! 🤮
Ignazio la Russa ci insegna cosa può significare “famiglia” Premessa necessaria: sulla presunta violenza sessuale perpetrata dal figlio IlR non si esprime da semplice genitore, esprime inevitabilmente – e ne è consapevole – tutta la forza e la minacciosità data dal suo rivestire una delle più alte cariche dello Stato: minaccia le donne (se denuncerete non sarete credute e sarete semplicemente considerate come le “puttane” drogate e bugiarde che siete), minaccia gli inquirenti e la magistratura (mio figlio l’ho già interrogato io – notiamo il verbo – e vi garantisco che non ha fatto nulla di male). Vorrei per un momento tenere da parte questo aspetto istituzionale per provare a leggere quello genitoriale. Cos’è la famiglia? È il dentro, lo spazio della protezione, ma anche lo spazio che dovrebbe educarci e accompagnarci verso il “fuori”, lo spazio della comunità. Scrive Schulman (nel suo “Il conflitto non è abuso”) che però nella famiglia spesso si sviluppa una “strana versione antisociale di lealtà in cui dimostriamo amore (…) sostenendo qualsiasi atto reprensibile commesso ai danni di altre persone”. Così “una famiglia può essere un esempio positivo di comunità costruita per aiutare a trattare gli altri membri in modo etico” o “può diventare l’archetipo del gruppo nocivo” (p. 249) Le dichiarazioni di IlR sono anche questo: la materializzazione di come la famiglia – che assume come unico valore la protezione a tutti i costi dei suoi membri e dei loro privilegi – possa essere un gruppo nocivo. E la brutta notizia è che non c’è bisogno di spingersi così lontano. Esempi analoghi – in più piccola scala di visibilità e gravità – possiamo trovarli ovunque. Per questo decostruire una certa concezione di famiglia non significa solo combattere l’eteronormatività ma, in maniera ancora più estesa, un modello che confligge con la possibilità di superamento dell’ingiustizia e la distruzione del privilegio.
Perché non bisognerebbe utilizzare il TW quando si parla di Palestina? Poco meno di vent’anni fa Susan Sontag pubblica un libro sul rapporto tra le immagini della sofferenza altrui e l’eco che queste producono in noi. “Lasciamoci ossessionare dalle immagini più atroci”, scrive, capaci di mostrare “ciò che gli esseri umani sono capaci di fare”, e di evidenziare “come i nostri privilegi si collocano sulla carta geografica”. L’immagine può farci fare esperienza indiretta è ciò che non viviamo in prima persona ma di cui non possiamo non sentirci coinvolti: le guerre, gli stermini, le ingiustizie. Sontag individua nell’immagine della sofferenza altrui la capacità di accendere una “scintilla” che ci porti all’azione. Tra le molte questioni affrontate nel libro c’è quella dell’ipersaturazione: essere esposti continuamente tramite i media a immagini di violenza può anestetizzarci? Renderci meno sensibili e pronti a reagire di fronte all’ingiustizia o alla sofferenza? Per Sontag l’immagine deve colpirci e colpirci forte. Vent’anni dopo ci troviamo in un clima culturale completamente diverso. Il TW e il suo uso, anzi si dovrebbe dire il suo abuso, rimandano a una visione completamente diversa o meglio a un’inversione delle priorità. Non devo essere toccato, quello che accade dall’altra parte del mondo mi deve implicare se e solo se sono io a deciderlo. Parlando della società attuale B.-C. Han la descrive come algofobica: terrorizzata dal dolore. Ho paura che l’esperienza traumatica di un altro possa fare eco con la mia. La nostra attenzione alla salute mentale rischia di diventare in alcuni casi un comodo travestimento per l’individualismo e per non farci investire dalla realtà. Quello che accade fuori accadrebbe lo stesso, che io lo veda o meno, mi si potrebbe rispondere. Se lo vedo allora posso cambiarlo. L’algofobia è l’altra faccia dell’impotenza e della passività. Non siamo noi i responsabili di questa mistificazione: ci hanno insegnato che non possiamo fare niente, che non possiamo cambiare niente (continua nel primo commento)
Lo sentivamo il bisogno di un altro commento su Chiara Ferragni a Sanremo? No, forse no 💜😀
Oggi lo vediamo con i m0rt1 istra3li4ne e p4lestin3si. Ieri con il racconto dei profughi ucraini o che provengono dal continente africano. Le vittime non sono tutte uguali. È il nostro sguardo razzista a trasformarle in “vite indegne di lutto” e di giustizia. Il video dei giornalisti l’ho ripreso da qui (in ingl) @mayyoora
Cosa possiamo fare? Intanto provare a rompere questo muro di silenzio. L’Occidente ha da sempre assistito agli effetti delle ingiustizie coloniali di cui si è macchiato con un misto di insofferenza, indifferenza e timore. È il momento di dire che tutto questo ci riguarda. “Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti”, ha detto M.K. King. Non restiamo zitti.
E voi, ce la fate a pensare ad altro in questi giorni? ❤💚🤍🖤 Non restiamo indifferenti, restiamo umani.
“Ambiguità dell’empatia” ❤🇵🇸 il mio intervento alla maratona di @tlon.it Vi consiglio di recuperarla tutta sui loro canali (sito e youtube) in particolare gli interventi strepitosi di @leila.belmoh (che in 20 min riesce a darci un quadro storico della questione palestinese, praticamente un miracolo!) e di @karem.dalla.palestina @karem_from_haifa (quale sarà il profilo che non hanno buttato giù oggi? 🤔) e di @alessandro_sahebi su come funziona il giornalismo in Italia e come dovrebbe funzionare.
“Ambiguità dell’empatia” ❤🇵🇸 il mio intervento alla maratona di @tlon.it Vi consiglio di recuperarla tutta sui loro canali (sito e youtube) in particolare gli interventi strepitosi di @leila.belmoh (che in 20 min riesce a darci un quadro storico della questione palestinese, praticamente un miracolo!) e di @karem.dalla.palestina @karem_from_haifa (quale sarà il profilo che non hanno buttato giù oggi? 🤔) e di @alessandro_sahebi su come funziona il giornalismo in Italia e come dovrebbe funzionare.
Estate 🥲 (sì, stavo certamente polemizzando)
Estate 🥲 (sì, stavo certamente polemizzando)
I tre moschettieri ❤✊
Buonasera a tuttƏ spagnolƏ e non 💃 (SEMICIT.) @ pabloiglesias @giulianogranato @salvatore_prinzi @m.giardi @chiaracapretti_ @_rosasica (💜🍈)
Che cos’è il lavoro oggi? Che senso ha riflettere e ragionare oggi sulla categoria di “alienazione”? Oggi pomeriggio ne discutiamo assieme a @musto.marcello (uno dei massimi conoscitori di Marx a livello internazionale!!!) per provare a capire assieme come lo sfruttamento (essere pagati poco e per troppe ore, non avere contratto, non avere sicurezza sul posto di lavoro, etc.), le modalità concrete del lavoro (come lavoriamo, in quali contesti e con quali strumenti), condizionino il nostro rapporto con il mondo e con gli altri, il modo in cui ci relazioniamo e come ci sentiamo. Questo rapporto non è soltanto individuale, personale, ma anche e soprattutto politico: se il lavoro dovrebbe insegnarci a cambiare il mondo, ad avere consapevolezza, darci concretamente la prova della nostra “forza”, un lavoro alienato cosa ci insegna? Ci insegna che siamo deboli e soli, impotenti, che dobbiamo rassegnarci, adattarci o soccombere. Per questo cambiare il lavoro – le condizioni concrete in cui lavoriamo – e il nostro modo di guardare al lavoro, significa poter cambiare il mondo. Ci vediamo oggi, alle 17.30, all’Ex OPG: non mancate! #lavoro #alienazione #marx #marcellomusto #violacarofalo #exopg #exopgoccupato #jesopazzo